Teoria e prassi antiautoritaria


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Sindacato

 

La memoria corta del riformismo

di Giulio Angeli


Siamo perfettamente consapevoli  che per difendere gli interessi dei lavoratori si è talvolta costretti, magari sotto il peso delle difficoltà del presente, a dire e fare cose nelle quali si crede poco ma, parafrasando le vecchie barbe e gli illustri epigoni, diciamo anche che è lecito farlo a condizione che non ci si creda noi e che non ci si faccia credere gli altri.

L’accordo del 28 di giugno e la riesumazione della concertazione
            Nella storia vi sono scelte dalle quali non è lecito prescindere per le conseguenze che da esse derivano. In questo senso, prima ancora di affrontare l’accordo interconfederale del 28 us il riferimento alle precedenti strategie sindacali concertative,  organicamente perseguite anche dalla CGIL almeno fino all’accordo separato del 2002, (Patto per l’Italia)  merita una considerazione particolarmente critica.
            Infatti, “la politica dei redditi“ ha agevolato l’iniqua redistribuzione della ricchezza sociale prodotta così come si configura oggi, penalizzando fortemente i salari. La flessibilizzazione del lavoro, che vede le sue premesse nel pacchetto Treu (L. 196/97),  non ha combattuto la disoccupazione ma ha agevolato la precarietà, esponendo i lavoratori al ricatto occupazionale, indebolendo  e minando le basi dell’organizzazione sindacale.  
            All’interno della CGIL ogni rivisitazione critica dei sopradetti fallimenti è stata ostacolata e rimossa, talvolta con ingenuità e assai più spesso con omissiva arroganza, ma i dati parlano chiaro: in questi ultimi anni la ricchezza sociale prodotta ha alimentato i profitti e le rendite per il 60% e solo il 40% è andato ai salari e la disoccupazione è cresciuta.  
            L’accordo interconfederale tra CONFINDUSTRIA – CGIL – CISL – UIL del 28 luglio 2011 rappresenta il prosieguo delle politiche concertative (compatibilità e politica dei redditi) inaugurate dalla svolta dell’EUR nel lontano 1978, che hanno agevolato l’offensiva del capitale contro i lavoratori, così come è andata configurandosi in questi ultimi trenta anni, anziché ostacolarla.
            La devastante stagione concertativa, frutto delle compatibilità definite nello scenario internazionale della crisi capitalistica e dello scontro tra potenze (crollo dell’URSS e ascesa di nuove potenze), è stata in parte compensata da un ruolo di opposizione svolto dalla CGIL in questi anni: un ruolo che ha arginato la deriva corporativa del sindacalismo italiano, agevolando quelle spinte al rinnovamento espresso dalle lotte dei lavoratori e dallo sviluppo dei movimenti di massa (giovani, donne, precari, studenti, ambientalisti) che le recenti elezioni amministrative e i referendum hanno documentato.
           
La cornice neocorporativa (e pasticciata) dell’accordo
Alla vigilia di una manovra economica iniqua, tra le più dure dalla fine della seconda guerra mondiale, il gruppo dirigente della CGIL, anziché chiamare i lavoratori alla mobilitazione attorno a una piattaforma unitaria, sulla spinta delle lotte di questi ultimi anni e della riuscita dello sciopero generale del 6 giugno us, rivela la sua vocazione moderata e si allinea alla deriva neocorporativa del sindacalismo italiano.
            Sono queste le manifestazioni di gruppo dirigente inadeguato e debole, costruito per recepire e replicare le pressioni delle componenti più moderate del Partito Democratico che hanno spinto insistentemente affinché si neutralizzassero, isolandoli, i settori operai più consapevoli e realistici, quali la FIOM, e con essi le componenti più combattive del movimento sindacale italiano, al fine di riallineare la CGIL con le altre organizzazioni confederali subalterne.

Le supponenze e il poco convincente ottimismo valutativo del gruppo dirigente della  CGIL, ben espresso dall’affermazione del suo Segretario Generale per il quale con l’accordo sarebbe stata “fermata la destrutturazione del contratto nazionale e definite regole per l'esercizio della democrazia”, è contemporaneamente replicato  dall’entusiasmo di Pietro Ichino (PD) che, almeno, il pregio della chiarezza ce l'ha quando afferma che, per quanto concerne la misurazione della rappresentatività a livello aziendale, con l’accordo “si consolida l'alternativa oggi in atto dove i tre sindacati vanno d'accordo, si attivano le rappresentanze sindacali unitarie – RSU - … dove i tre sindacati non vanno d'accordo si attivano le rappresentanze sindacali aziendali... Il contratto aziendale... è vincolante per tutti... a) se stipulato dalla RSU con il voto favorevole della maggioranza dei suoi membri... b) se stipulato da una o più delle RSA titolari della maggioranza delle deleghe in seno all'azienda”. (P. Ichino: Si volta pagina nel rapporto tra sindacati e imprese” dal sito WWW.lavoce.info del 29.06.2011). Cioè: là dove le burocrazie sindacali ritengono di egemonizzare le RSU queste possono anche essere costituite, là dove, invece, questa egemonia non è esercitabile si procede alla costituzione delle RSA di diretta emanazione sindacale, che poi sarebbe il modello CISL fino a ieri avversato dalla CGIL.
            La blindatura delle RSU è semplicemente essenziale per i ruolo che queste svolgeranno nella contrattazione collettiva: per questo dovranno essere poste sotto tutela. Vero che l'accordo prevede il referendum, ma solo nel sopradetto  caso (b) e con modalità francamente blindate affinchè le burocrazie sindacali corrano rischi minimi di essere contraddette.
            E’ questa una regressione della democrazia attuata al fine di scongiurare episodi quali la vertenza FIAT.
            L'accordo aggredisce pesantemente anche la valenza del contratto nazionale di lavoro. Infatti i contratti aziendali potranno derogare i CCNL, praticamente su tutto.  Questo gravissimo precedente, che recepisce un’antica esigenza padronale volta al superamento dei contratti nazionali,  è mascherato con l’enfatizzazione della contrattazione decentrata e con la logica dell'eccezione (situazione di crisi, significativi investimenti...): ma le crisi capitalistiche hanno la dolorosa prerogativa di trasformare le eccezioni in regole, e i padroni disporranno quindi di uno strumento formidabile per imporre le loro strategie, pressoché in ogni circostanza.
            In ultimo, con la medesima logica, si erge un altro ostacolo all'esercizio dello sciopero. Si dice che il diritto di sciopero rimarrà inalterato, ma è ridotto a mero diritto cartaceo perché  sarà ancora più difficile scioperare. Quest’ultima “disposizione” è particolarmente suicida per la CGIL e dimostra il suo totale disinteresse per le concrete mobilitazioni dei lavoratori, poiché affida la gestione di ogni eventuale opposizione alle forme sindacali non confederali, o direttamente allo spontaneismo senza futuro.
            Quando parliamo di deriva neocorporativa non intendiamo scendere sul piano dell’invettiva, ma qualificare la sostanza dell’accordo, in quanto si ispira a un sistema tipico che “…… realizza una formula di cogoverno delle decisioni collettive, specialmente in materia di politiche economiche e finanziarie, fondata su strategie di collaborazione e concertazione fra le grandi organizzazioni degli interessi da una parte (in particolare sindacati dei lavoratori e associazioni dei datori di lavoro) e le autorità pubbliche dall’altra” (voce: neocorporativismo - Treccani.it). Neocorporativismo, appunto.
            L’essenza neocorporativa della concertazione, caratteristica fondante dell’accordo separato del gennaio del 2009, non sottoscritto dalla CGIL,  tende a imporre un  “sindacato per i lavoratori”,  cioè un verticistico ente erogatore di servizi là dove la democrazia sindacale è un intralcio, in luogo di un modello sindacale più partecipativo e democratico, punto di riferimento per l’azione di classe e che contrasta fortemente con il modello sindacale che traspare dalle righe dell’accordo del 28 di giugno. Inoltre la cornice è pasticciata proprio perché il gruppo dirigente della CGIL tende a recuperare il rapporto con i vertici neocorporativi di CISL e UIL sul loro terreno che è squisitamente politico. Infatti, il recente accordo non supera quello del gennaio 2009 sul modello contrattuale, che la CGIL non firmò e che risulta sempre applicabile, inoltre la UIL ha disdetto il protocollo del 1993 quale base giuridica delle RSU e quindi il riferimento alle regole interconfederali vigenti, proprio dell’accordo medesimo là dove si parla di rappresentanza, non si sa cosa significhi e quali proiezioni potrà avere sulla elezione delle RSU che verranno verosimilmente sostituite dalle RSA che, essendo di nomina sindacale sono certamente più assimilabili agli intenti dei vertici.
Considerazioni provvisorie
L’accordo, che dovrà essere valutato alla luce delle dinamiche della crisi, è comunque inaccettabile perché prevede la demolizione della valenza nazionale del CCNL, il commissariamento della rappresentanza e la blindatura delle RSU, complica nei fatti la possibilità di scioperare, ed esprime la subalternità dei vertici sindacali confederali alle dinamiche della ristrutturazione capitalistica in atto e alle sue variabili politiche parlamentari. In questo contesto il gruppo dirigente della CGIL doveva scegliere se generalizzare e consolidare la tendenza all’opposizione intrapresa, sia pure con vistose contraddizioni, dal rifiuto di firmare “il patto per l’Italia” o tornare a replicare le vecchie politiche di stampo neocorporativo: anziché porsi come punto di riferimento unitario della nuova opposizione sociale è prevalsa la vecchia linea concertativa legata ai partiti politici parlamentari di cui si riduce a replicare il ruolo di innocua cinghia di trasmissione. Ciò si è affermato soprattutto per la debolezza del suo gruppo dirigente e per l’inadeguatezza e l’inconcludenza di quelli dell’opposizione interna vecchia e nuova - “lavoro e società”, ora divenuta componente organica della maggioranza, e “la CGIL che vogliamo obiettivamente rappresentata quasi esclusivamente dalla FIOM, così come si è espressa nel XVI congresso che ormai esprime tutta la sua inadeguatezza.
            Essenziale è in questa fase affermare la piena solidarietà alla FIOM e a tutte le forme di dissenso interne alla CGIL ma il panorama si complica: la considerazione che la FIOM  rappresenti l’ultimo baluardo di opposizione si sta facendo strada in numerosi militanti sindacali, e ciò non è scevro da negative conseguenze quali la percezione dell’isolamento e il crescente senso di sfiducia che l’accordo alimenta. E’ in atto l’isolamento di un’esperienza qualificatissima, tra le più avanzate del movimento sindacale italiano, quella della FIOM, e che per questo deve essere ridimensionata poiché ostacolo oggettivo alla concertazione. E’ questa un’esigenza politica dei neoliberisti del Partito democratico che si apprestano a governare, almeno nelle intenzioni loro e, per farlo, hanno bisogno di una CGIL allineata con CISL e UIL, disciplinata, che rompa con i conflitti e inauguri una nuova stagione concertativa caratterizzata da una evidente deriva autoritaria e neocorporativa.  E’ questo lo scenario su cui sviluppare il dibattito per una rinnovata azione di classe.

Luglio 2011

Pubblicato in :Crescita Politica Newsletter dell'Unione dei Comunisti Anarchici d'Italia n. 30 17 luglio 2011